Monastero dei SS. Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane

 

L’ingresso della Chiesa Abbaziale

Un monastero cistercense è organizzato in modo che in esso possano svolgersi le attività principali della comunità, che sono la preghiera e il lavoro manuale, la meditazione e lo studio e possano trovare risposta le esigenze basilari della vita quali il cibo e il sonno. A questi diversi fini corrispondono rispettivamente la chiesa, il chiostro e la sala comune, spesso denominata scriptorium, il refettorio e il dormitorio.
A questi luoghi si devono aggiungere le diverse officine, come pure la portineria e la foresteria perché l’ospitalità ha una importanza notevole nella tradizione monastica benedettina. La portineria del monastero ha grande importanza perché serve da separazione e da passaggio fisico e simbolico fra il mondo esterno, secolare, e lo spazio sacro dell’abbazia, spazio claustrale dove il monaco vive l’intimità della vita comunitaria e dell’unione con il suo Signore.
I cistercensi hanno preso dai Benedettini il modo di sistemare la Casa Dei. Il monastero è così concepito: una sistemazione nello spazio, un radicamento nel cosmo, che porta con sé una lezione di realismo e di abilità pratica.
Nel lato est del chiostro, cioè la parte che per prima viene illuminata dalla luce del giorno, troviamo i luoghi della vita comune; dormitorio, sala capitolare, sacrestia, armarium o biblioteca. Il nord è il lato della chiesa, perché il più importante edificio del monastero non faccia cadere la sua ombra sul chiostro e allo stesso tempo protegga dalla fredda tramontana. Il lato ovest che riceverà gli ultimi raggi del sole, è la parte destinata al lavoro con i magazzini e gli spazi riservati ai fratelli conversi – dormitorio e refettorio. Tale sistemazione permette di lavorare fino a tardi la sera, quando è necessario mettere al riparo i prodotti dei campi, approfittando della luce senza disturbare il raccoglimento o il riposo dei monaci coristi. In fine, al lato sud, troviamo la fontana, il refettorio e la cucina.
Se i cistercensi hanno generalmente rispettato l’orientamento della chiesa verso levante, non si sono sentiti obbligati ad osservare rigorosamente la disposizione benedettina e, quando il luogo o il terreno o il clima locale lo richiedevano, hanno fatto gli adattamenti necessari. Realismo e capacità di adattamento sono caratteristiche dello spirito cistercense.
Un altro aspetto dello spirito cistercense è quello di creare una novità di vita senza rinunciare al passato, senza fare tabula rasa dell’eredità della tradizione, ma appoggiandosi su questa tradizione con grande libertà e creatività. E questa constatazione è valida a tutti i livelli della vita, per il singolo monastero come per l’Ordine intero, per la vita pratica quotidiana come per quella spirituale. Radunati dalla voce divina i fratelli costituiscono una comunità monastica: una Casa Dei, una chiesa. L’uso frequente della parola “Chiesa” non testimonia uno spirito settario, ma testimonia la coscienza ecclesiale acuta dei primi cistercensi.
Essi vedevano il loro monastero come anticipazione della città santa, della Gerusalemme celeste, la quale, secondo l’Apocalisse, è la fidanzata, la sposa dell’Agnello. E questa visione non era certo una fuga nell’immaginario. Non si possono avere dubbi sull’amore dei cistercensi per la Chiesa, e basti considerare come san Bernardo si è impegnato per il suo bene. In questa Chiesa locale, in questa città santa, in questa Casa Dei, si vive una vita consacrata a Dio nell’unione fraterna, nella solitudine e nel silenzio, nella preghiera e nel lavoro, in una disciplina di vita. In questa comunità fraterna, il monaco, desideroso di appartenere a Dio solo, si sforza di semplificare la sua vita per condurla all’unità e all’unione con il Dio unico. Ma questa ricerca d’unità interiore e di comunione non ha niente di straordinario, non è estranea alla natura umana, non è neanche un privilegio riservato al fior fiore de cristiani, ogni persona umana è misteriosamente chiamata a tale compimento. Nella grande famiglia umana le vocazioni sono diverse ma l’unica maniera per arrivare a gustare un’autentica felicità è pervenire a questa unificazione interiore che permette di vivere in armonia con se stessi, con gli altri, con tutta la creazione, con Dio.
Questo scopo è proposto a tutti e il monaco cistercense si sforza di raggiungerlo attraverso scelte radicali.

 

La Chiesa Abbaziale

 

Interno della Chiesa. Navata centrale.

La chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio è stata edificata secondo le regole stilistiche cistercensi, che richiedevano caratteri di sobrietà e austerità: infatti era vietato realizzare edifici sontuosi, con decorazioni scultoree e pittoriche (questo si ripercuoteva anche su paramenti e suppellettili, sempre semplici ed essenziali).

Non per questo, però, è venuta meno la ricerca della bellezza e dell’equilibrio, sempre presenti nello stile “bernardino”, ossia “romanico-borgognone”; tanto da rappresentare uno dei monumenti più interessanti dell’architettura medioevale romana di transizione ed ebbe una notevole influenza anche nello sviluppo dell’arte gotico-cistercense in Italia. A differenza delle abitudini del tempo, che vedeva utilizzato materiale preso da edifici in rovina, per la costruzione della chiesa venne utilizzato il mattone di tipo lombardo, probabilmente perché, come riferisce Aristide Sartorio, per la costruzione vennero chiamati artisti lombardi, presumibilmente gli stessi che avevano partecipato ai lavori di realizzazione dell’Abbazia di Chiaravalle. In più appaiono, tra le prime in Italia, le volte a sesto acuto.
La struttura della chiesa si apre alla vista con un portico tetrastilo composto da colonne di marmo orientale e capitelli ionici e da un tetto che non spiove ai lati, ma si sviluppa lungo tutta la lunghezza delle tre navate, accorgimento che verrà adottato pure durante la realizzazione del portico di San Lorenzo fuori le mura.
Come per l’Arco di Carlo Magno, anche i lati del portale di ingresso della chiesa era stato decorato con affreschi, ma di essi, oggi, non c’è più traccia.
All’interno, la pianta della chiesa si sviluppa a croce latina, con abside quadrata e cappelle laterali e si compone di tre navate; la maggiore delle quali, quella centrale, è realizzata in laterizio e prevedeva una copertura con volta ad arco, ma il cedimento delle pareti costrinse ad ultimare i lavori con semplici capriate a vista.
Le navate laterali sono invece coperte con volte a crociera sostenute da nove pilastri e si affacciano sulla navata principale attraverso archi a tutto sesto. Infine, volte a sesto acuto costituiscono la copertura delle quattro cappelle dello pseudo transetto. La luce si diffonde in chiesa attraverso finestre monofore a doppia strombatura interna ed esterna, decorate con vetrate di epoca recente e dal fronte della navata centrale attraverso un rosone e cinque finestre monofore. Decorazioni affrescate sono presenti sia sui pilastri laterali, dove sono state realizzate figure degli Apostoli, riprodotti da un lavoro in chiaroscuro che Raffaello realizzò per un salone del Vaticano, sia sui pilastri di fondo della navata centrale in cui sono stati raffigurati “il battesimo nel Giordano” e “Cristo e la Maddalena”. Col tempo sono entrati a far parte della storia degli affreschi anche firme e scritte apposte dai visitatori che sono entrati nel luogo, alcune di queste anche molto antiche.
Nel centro della crociera, al posto della cupola, le navate si incontrano attraverso tre archi a tutto sesto, che danno accesso al presbiterio e alla navata trasversa.
La consacrazione della Chiesa avvenne nel 1221 ad opera di papa Onorio III: sulla parete della navata sinistra è visibile la lapide che ricorda l’avvenimento. Essa è stata dedicata a Sant’Anastasio, come la preesistente, e solo nel 1370 fu detta “dei santi Anastasio e Vincenzo”, quando le reliquie di quest’ultimo, martire spagnolo, giunsero al monastero delle Tre Fontane.
Della struttura su cui è stata edificata la chiesa attuale rimangono alcune testimonianze sul pavimento della navata sinistra, all’inizio del transetto, custodite sotto lastre di vetro: si tratta di resti risalenti al VII secolo. È difficile comunque stabilire la precisa ubicazione e le dimensioni della primitiva chiesa. Presumibilmente è l’attuale sacrestia quello che ne rimane, con la volta romanica realizzata con costoloni di peperino incrociati e due affreschi sulle lunette contrapposte, che rappresentano la nascita di Gesù e l’incoronazione della Vergine.

 

Chiostro

Un lato del chiostro

In una abbazia cistercense, il chiostro è uno spazio quadrato o rettangolare con un giardino al centro. Le quattro gallerie che camminano attorno offrono un accesso coperto ai diversi edifici e luoghi che si aprono su di esse. Il chiostro cistercense era il luogo dove il monaco leggeva la Bibbia e questa lettura personale veniva fatta sottovoce o a voce alta. Questo significa che le parole del testo sacro non erano solo lette visivamente, ma anche udite, in questo modo si gustava la materialità di una parola che entrava in duplice maniera nella vita del monaco: con la vista e con l’udito. Questa lettura era anche una preparazione e un aiuto per la pratica del canto gregoriano.

Tuttavia, il chiostro non era solo un luogo di passaggio o un luogo di meditazione. Il chiostro era il luogo in cui veniva comunicato tutto ciò che riguardava la vita della comunità. Vi si svolgevano anche molteplici attività, sia spirituali, sia materiali. Tra le più solenni il culto reso a Dio con le processioni nei giorni di grande festa: tra le più comuni il servizio fraterno reciproco della rasatura periodica dei capelli e della barba. Questo aiuta a percepire l’aspetto unitario e unificatore della vita monastica cistercense per cui le diverse attività della vita quotidiana si vivono tutte sempre sotto lo sguardo di Dio, e non si sente l’esigenza di introdurre una distinzione fra sacro e profano, fra spirituale e materiale.

Chiostro (interno)

La realizzazione del chiostro nell’Abbazia delle Tre Fontane viene fatta risalire ai primi anni del XIV secolo. Secondo la tecnica costruttiva dei Cistercensi, è il sole a suggerire il posizionamento dei vari ambienti che sorgono attorno al chiostro. Il lato est, quello cioè che per primo viene illuminato dalla luce diurna, ospita la sala del capitolo, il dormitorio, la biblioteca o armarium. Proseguendo il percorso del sole durante la giornata, troviamo il lato sud dove sono invece posizionati il refettorio e la cucina; di seguito, illuminato dale ultime luci del giorno, troviamo il lato ovest ove risultano situati il magazzino, il refettorio e il dormitorio. Sul lato nord, infine, troviamo posizionata la chiesa. Anche questo posizionamento non è ovviamente casule, in questo modo a nessuna ora del giorno si impediva ai raggi solari di raggiungere il chiostro. Da segnalare, infine, la presenza nel chiostro di due affreschi risalenti al XIV secolo, raffiguranti San Omobono e Santa Margherita.

Attualmente, poiché luogo di clausura, il chiostro non è visitabile.

 

Sala del Capitolo

 

Sala capitolare

“Ogni volta che in monastero si devono trattare cose di importanza, l’abate raduni tutta la comunità ed esponga egli stesso di che si tratta…” dice nel capitolo III la Regola di San Benedetto.
L’ambiente dove questo avveniva era, inizialmente, una galleria del chiostro, ma nel secolo XI prevalse l’uso di adibire a tale scopo una sala, posta nella galleria orientale, chiamata, in seguito, “sala del capitolo”, perché un monaco, designato dall’abate, ogni mattina, leggeva alla comunità riunita un capitolo della Regola o parte di esso.
Qui si svolgevano gli incontri fondamentali della vita monastica; per questo, venne considerata, e lo è tuttora, l’ambiente più significativo dell’abbazia, dopo la chiesa.
Nell’Abbazia delle Tre Fontane la sua sobria bellezza è esaltata dalla struttura architettonica, apparentemente semplice, ma ricca di fascino, per il gioco di volte che, dipartendosi da due pilastri centrali sapientemente illudono l’occhio di spazi ampi e profondi.

 

Refettorio

 

Refettorio

I monaci cistercensi seguono la regola monastica benedettina secondo la quale i pasti si prendono ad un’ora stabilita. Se si mangia solo quando si ha fame, si rimane troppo legati ai meccanismi del corpo, che non è mai totalmente sazio e non è mai stanco di suggerire nuovi appetiti o nuove opportunità di mangiare. La disciplina dei pasti a ora fissa, che il monaco sia affamato o no, ha sempre il suo valore, come il fatto di accontentarsi di cibi ordinari preparati con semplicità perché una dieta controllata aiuta a dominare il flusso dei pensieri. Una certa monotonia e semplicità del cibo aiutano a conservare la mitezza dello spirito e del cuore, dell’intelletto e dell’affettività.

I monaci cistercensi hanno fama di grande austerità, tuttavia nei loro monasteri il refettorio è uno degli ambienti più belli, grandi, luminosi. La mensa comune manifesta l’unione dei fratelli e la rafforza, è esperienza di comunione nel servizio reciproco, nella carità. Il refettorio è il luogo in cui si mettono in comune i frutti del lavoro manuale di tutti. Nel refettorio si mangia in silenzio, ascoltando una lettura. Il refettorio è spazio sacro, come la chiesa o gli altri edifici del monastero; ciò fa si che abbia una doppia funzione ed è spazio destinato alla refezione del corpo ed è spazio destinato alla refezione dello spirito.
Lavorare procura il cibo materiale necessario alla vita del corpo, ascoltare la Parola di Dio procura il cibo che nutre la vita spirituale. Seduto al suo posto, il monaco non ha nessuno di fronte a lui con cui parlare perché sta ascoltando la lettura della Parola di Dio. Tuttavia, questo ascolto è ascolto della voce stessa di Gesù che parla e viene a pranzare con il monaco. In refettorio, nel silenzio dell’ascolto, il monaco attende l’incontro con Gesù, questo Visitatore che sta alla porta e bussa, desiderando di cenare con lui (Apoc 3.22).

 

Dormitorio

 

Il dormitorio “storico”.

I riferimenti biblici del capitolo della Regola di san Benedetto su “come devono dormire i monaci” fanno pensare ai servi fedeli, sempre pronti, in attesa del giorno del Signore, colui che porta la luce vera.
In questo senso, il monaco è figlio della luce e rigetta le opere delle tenebre. Anche nel dormitorio incontriamo la dimensione escatologica del ritorno di Cristo.
In questa prospettiva, il tempo del sonno non è altro che la preparazione ad entrare nel ciclo di preghiera del giorno seguente. Nel monastero, si sa perché ci si alza; nel mondo, poca gente sa veramente perché si alza e, per molti, l’ora della levata è l’inizio di una corsa frenetica che li farà giungere a sera vuoti, insoddisfatti, completamente esausti.
Il monaco sa bene che si alza per incontrare Dio e non esita a dedicare alla ricerca di Dio le prime tre o quattro ore della sua giornata, con la celebrazione delle Vigilie, con la preghiera privata e la meditazione della Bibbia, in sobria attesa della venuta di Cristo. Dopo si possono affrontare con serenità tutte le attività della giornata, con la sicurezza che nessuna di questa attività è priva di senso.